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Acquisizione sanante e silenzio inadempimento PA

Privato
Mercoledì, 26 Febbraio, 2025 - 08:45

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza 9120 del 13 novembre 2025, acquisizione sanante e silenzio inadempimento PA 

MASSIMA

Nei casi di illecita apprensione di immobili in violazione delle disposizioni del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 spetta al privato la facoltà di sollecitare l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’articolo 42 bis o, in alternativa, la restituzione del bene. Tale iniziativa ha funzione di sollecito e non di impulso procedimentale in senso proprio, rispetto ad un obbligo di provvedere che sorge a carico dell’amministrazione sin dal perfezionarsi dell’illecita occupazione e la cui violazione può essere accertata dal giudice su ricorso del privato senza bisogno di istanze formali.

SENTENZA

Pubblicato il 13/11/2024

N. 09120/2024REG.PROV.COLL.

N. 02141/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2141 del 2024, proposto da S.A.Te.Ca. - Società Alberghi e Terme di Calabria S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ivan Incardona, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Acquappesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonietta Vattimo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. 00269/2024.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Acquappesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso al T.a.r. per la Calabria la S.A.Te.Ca. - Società Alberghi e Terme di Calabria S.p.A. ha chiesto l’accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 42-bis del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, da parte del Comune di Acquappesa, in conseguenza del procedimento espropriativo, iniziato e mai concluso, avente ad oggetto una porzione del fondo di proprietà, riportato nel catasto terreni al foglio 25, particella 269, occupata dal medesimo Comune per scopi di interesse pubblico ed irreversibilmente trasformata, in totale e perdurante assenza di un provvedimento di esproprio; ha inoltre chiesto l’emanazione dell’ordine di provvedere, entro un dato termine, ai sensi del citato art. 42-bis del TUE con determinazione e liquidazione del relativo indennizzo, da quantificarsi, a seconda del provvedimento adottato (acquisizione sanante ovvero restituzione previa remissione in pristino), in base ai criteri predefiniti dallo stesso all'art. 42-bis e con contestuale nomina di un Commissario ad acta, ai sensi dell’art. 117, comma 3, C.p.a., incaricato di provvedere, nel caso di perdurante inerzia nel termine assegnato.

2. Il T.a.r. per la Calabria con sentenza n. 269 del 2024 ha dichiarato il ricorso inammissibile, assumendo che la ricorrente non avrebbe presentato al Comune una istanza finalizzata all’esercizio dei poteri di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, ciò in quanto l’obbligo di provvedere sussisterebbe per l’amministrazione solo a fronte di un’istanza del privato finalizzata all’adozione di un provvedimento autoritativo.

Ulteriore profilo di inammissibilità è stato rinvenuto dal T.a.r. nel decorso del termine annuale dal termine di conclusione del procedimento che avrebbe imposto la presentazione di una nuova istanza.

3. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la S.A.Te.Ca. - Società Alberghi e Terme di Calabria S.p.A. per chiederne la integrale riforma in quanto errata in diritto, stante il carattere doveroso dell’esercizio del potere di acquisizione sanante, come tale da esercitarsi anche in assenza di specifica istanza dell’interessato.

3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Acquappesa per resistere al gravame contestandone la fondatezza ed eccependo la inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, peraltro, a suo dire, “intrusi” nella parte riservata al fatto.

Ha poi eccepito la prescrizione del diritto al pagamento delle varie indennità richieste in conseguenza della espropriazione illegittima e la maturazione dell’usucapione quale fatto impeditivo della restituzione.

4. Alla camera di consiglio del 26 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello poiché i motivi di gravame risultano proposti nella apposita sezione dedicata alla parte in diritto e contengono specifiche critiche alla decisione del giudice di primo grado, argomentando, in particolare – con diffusi richiami di giurisprudenza - circa il carattere non necessario della preventiva istanza quale condizione di ammissibilità del ricorso avverso il silenzio in subiecta materia, trattandosi di iniziativa doverosa per l’amministrazione che ha commesso l’illecito.

6. Nel merito l’appello è infondato.

7.1. Quanto osservato dal T.a.r. circa la necessità di una formale istanza quale condizione necessaria alla formazione del silenzio, una volta scaduto il termine di conclusione del procedimento, invero vale per i procedimenti ad istanza di parte al fine di fare sorgere il dovere di procedere e provvedere da parte dell’amministrazione mentre nel caso di specie si verte in materia di procedimenti ad iniziativa d’ufficio.

Nei casi di illecita apprensione materiale di immobili, in presenza di comportamenti assunti in violazione delle disposizioni previste dal d.P.R. n. 327 del 2001 e comunque in assenza di formale provvedimento di esproprio, l’amministrazione procedente resta infatti sempre obbligata a porre rimedio alla situazione contra ius venutasi a determinare, attivandosi per rendere la situazione di fatto conforme a quella di diritto mediante la formazione del presupposto titolo giuridico.

L’ordinamento, in alternativa alla restitutio in integrum, prevede a tal fine l’istituto dell’acquisizione sanante che condensa uno actu il procedimento espropriativo, riconducendo, con efficacia ex nunc, nell’alveo della legalità la condotta acquisitiva posta in essere sine titulo.

Naturalmente è rimessa alla valutazione discrezionale dell’amministrazione procedente la scelta tra la restituzione dell’immobile illecitamente appreso e l’avvio del procedimento speciale finalizzato alla motivata adozione del titolo giuridico necessario a poterne disporre pleno iure ma certamente l’amministrazione è tenuta a provvedere d’ufficio al fine di porre rimedio all’illecito posto in essere che, come noto, ha effetti permanenti.

Pertanto, una volta scaduti i termini del decreto di occupazione di urgenza e, in ogni caso, quelli per la valida adozione del provvedimento espropriativo, il possesso dell’immobile diviene illecito e sorge automaticamente l’obbligo di porre rimedio agli effetti di un comportamento divenuto contra ius mediante avvio, d’ufficio, del procedimento di acquisizione sanante, laddove l’amministrazione escluda la restituzione dell’immobile (cfr. sul carattere officioso di tale procedimento C.G.A.R.S 26 marzo 2020, n. 214).

In questo senso l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2020 ha chiarito, al punto 16.2.3 che “Per quanto riguarda l’amministrazione, essa è titolare di una funzione, a carattere doveroso nell’an, consistente nella scelta tra la restituzione del bene previa rimessione in pristino e acquisizione ai sensi dell’articolo 42-bis; non quindi una mera facoltà di scelta (o di non scegliere) tra opzioni possibili, ma doveroso esercizio di un potere che potrà avere come esito o la restituzione al privato o l’acquisizione alla mano pubblica del bene. Alternative entrambe finalizzate a porre fine allo stato di illegalità in cui versa la situazione presupposta dalla norma.”.

E’ vero che ha aggiunto subito dopo quanto segue: “Quanto al privato – e corrispondentemente all’alternativa posta in termini funzionali all’amministrazione –, la sua facoltà di autodeterminazione resta conformata (sul piano legislativo, ex art. 42, secondo e terzo comma, Cost.) nel senso che al medesimo è attribuita la potestà di compulsare la pubblica amministrazione, attraverso una correlativa istanza/diffida, all’esercizio del potere/dovere di porre comunque termine alla situazione di illecito permanente costituita dall’occupazione senza titolo e ricondurla a legalità secondo la seguente alternativa….” (nello stesso senso di veda il punto 15.1 della motivazione ove si afferma che “Deve pertanto ritenersi la sussistenza di un obbligo di provvedere ex art. 2 l. n. 241/1990 sull’istanza del proprietario volta a sollecitare il potere di acquisizione ex art. 42-bis (o, in alternativa, a disporre la restituzione del bene), fermo restando il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla pubblica amministrazione sul merito dell’istanza”). Il riferimento alla istanza/diffida non vale, però, a dequotare la natura officiosa del procedimento speciale in esame, risolvendosi l’iniziativa del privato nell’esercizio di un potere sollecitatorio cui si ricollegano effetti giuridici (su cui infra al punto 8.1), anche se non di impulso procedimentale in senso proprio, rispetto ad un obbligo di provvedere che sorge sin dal perfezionarsi dell’illecita occupazione e la cui violazione può essere accertata dal giudice su ricorso del privato senza bisogno di istanze formali.

Il fondamento di tale obbligo di provvedere è stato rinvenuto dalla Plenaria nei principi di legalità, imparzialità e buon andamento: “il dovere dell’amministrazione di far venir meno la occupazione sine titulo, ossia di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto non incisa dall’occupazione medesima (in primis, attraverso la restituzione previa rimessione in pristino), costituisce espressione del principio generale di legalità dell’azione amministrativa (particolarmente stringente nel settore espropriativo, ai sensi dell’art. 42, secondo e terzo comma, Cost.; v. infra sub § 15.2.), nella specie convogliata nella procedura speciale quale delineata dall’art. 42-bis, nonché dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.)” (cfr. paragrafo 15.1.).

Del resto, che si tratti di mero potere sollecitatorio è confermato dallo stesso tenore letterale dell’art. 42-bis che non contempla alcuna istanza di parte quale atto necessario di impulso per l’avvio del procedimento speciale.

Al contempo il riferimento alla mera “possibilità” di adozione del decreto di acquisizione sanante contenuto nell’art. 42-bis, comma 1, (“….l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile…”) va interpretato come previsione di un potere discrezionale non nell’an – incompatibile con l’esistenza di un obbligo di provvedere - bensì nel quomodo quale ipotesi decisionale alternativa rispetto alla restituzione del bene.

7.2 Di regola, in via generale, l’obbligo di provvedere d’ufficio sorge in concomitanza con il perfezionarsi della fattispecie di illecita apprensione, allorquando con la violazione delle regole del procedimento ordinario sorge la necessità di valutare i presupposti per dare avvio al procedimento speciale di cui all’art. 42 bis, al fine di ricondurre l’agire amministrativo nell’alveo della legalità.

Nel caso di specie, si tratta di fatti risalenti al dicembre 1992: il decreto di occupazione temporanea e di urgenza è stato infatti notificato il 22 dicembre 1992 e prevedeva un termine quinquennale di occupazione.

Poiché una volta intervenuta la scadenza dell’efficacia del titolo che legittimava la materiale apprensione del bene (nella specie 21 dicembre 1997), in assenza di decreto di esproprio, il procedimento doveva essere avviato d’ufficio sin dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 in forza dell’art. 43 (successivamente dichiarato incostituzionale da Corte cost. n. 293 del 2010), recante la prima disciplina della acquisizione sanante, e, in ogni caso, sin dalla entrata in vigore del successivo articolo 42-bis, introdotto dall’art. 34, comma 1, del decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011 convertito dalla legge n. 111 del 2011, è evidente che il termine residuale di trenta giorni, previsto dall’art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990, per la conclusione di tale procedimento – in mancanza di disciplina espressa del termine all’art. 42-bis - sia ormai da tempo scaduto sicché sussiste la violazione dell’obbligo di provvedere, senza che possa essere eccepita la mancata presentazione di una formale istanza, come invece erroneamente ritenuto dal T.a.r..

7.3. Quale fatto estintivo della condotta contra ius e quindi dell’obbligo di provvedere, il Comune eccepisce infine l’intervenuta usucapione.

Premesso che in questa sede è consentito un accertamento solo in via incidentale ai sensi dell’art. 8, comma 1, c.p.a., l’eccezione è infondata poiché non risulta maturato il periodo di possesso ventennale a tal fine previsto dalla legge.

La giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2 del 2016; Cons. Stato, sez. IV, n. 5430 del 2020) ha infatti chiarito che il possesso utile al fine del maturarsi dell’usucapione idoneo ad interrompere la condotta illecita di materiale apprensione è solo quello successivo al 30 giugno 2003 data di entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001. (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) sicché la notifica del ricorso di primo grado perfezionatasi in data 1 marzo 2023 è idonea ad interrompere il termine ventennale (che sarebbe venuto a maturarsi il 30 giugno 2023).

8. Deve ora passarsi all’esame del secondo motivo di inammissibilità rilevato dal T.a.r., quello relativo alla decadenza dell’azione in conseguenza del decorso dell’anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, secondo quanto previsto dall’art. 31, comma 2, c.p.a..

A rigore poiché la disposizione non distingue tra procedimento ad istanza di parte e procedimenti d’ufficio, la predetta decadenza deve applicarsi ad entrambe le tipologie di procedimenti anche perché le esigenze di certezza del diritto e di consolidamento delle situazioni giuridiche soggettive di diritto pubblico vale in misura analoga per le due tipologie di procedimenti.

Occorre dunque accertare se nel caso di specie il predetto termine di decadenza annuale sia decorso o meno.

Più in particolare, nel caso di procedimenti ad iniziativa d’ufficio, viene in rilievo la diversa questione dell’onere della prova circa il rispetto del termine annuale di proposizione dell’azione da parte di chi ha interesse a contestare il ritardo procedimentale, dovendo, in assenza di una chiara disposizione legislativa ed in applicazione dei principi generali in materia, essere la parte che eccepisce la tardività a dimostrare che la controparte fosse a conoscenza del momento esatto in cui è spirato il termine di conclusione del procedimento. In altri termini, nei procedimenti ad iniziativa di parte, avendo la parte medesima formulato l’istanza, la stessa è a conoscenza del momento di conclusione del procedimento e quindi della decorrenza del termine annuale per agire in giudizio mentre nei procedimenti ad iniziativa d’ufficio la parte che ha interesse alla definizione del procedimento non è necessariamente a conoscenza di quando il dovere di procedere si è trasformato in dovere di provvedere e quando è successivamente spirato il termine previsto dalla legge per la conclusione del procedimento. Per queste ragioni tale avvenuta conoscenza deve essere oggetto di una rigorosa prova in sede processuale da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso.

Nel caso di specie, come si è visto, il termine annuale di proposizione del ricorso è iniziato a decorrere il 6 agosto 2011, trenta giorni dopo l’entrata in vigore (in data 6 luglio 2011) del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 che con l’art. 34, comma 1 ha introdotto, nel d.P.R. 327 del 2001 l’art. 42-bis, recante la disciplina del procedimento officioso di acquisizione sanante, ed è pertanto venuto a scadere in data 15 settembre 2012, tenuto conto della sospensione feriale dei termini.

Trattandosi di dies a quo riconducibile ad una previsione di legge, lo stesso era certamente conoscibile da parte della ricorrente,

Il ricorso ai sensi dell’art. 31 c.p.a., essendo stato notificato solo in data 1 marzo 2023, è dunque manifestamente tardivo.

8.1. In ogni caso resta ferma la facoltà per la società ricorrente di sollecitare il Comune alla conclusione del procedimento, in applicazione dei doveri di collaborazione e buona fede che incombono sulle parti della relazione procedimentale.

E’ nota infatti l’evoluzione che ha caratterizzato lo statuto giuridico della relazione procedimentale (su cui di recente cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7 del 2021) ritenuta oggi sottoposta non solo alle c.d. regole di validità degli atti ma anche a quelle di comportamento (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5 del 2018), tra cui particolare rilevanza assume l’obbligo di buona fede, da tempo ritenuto cogente anche nell’ambito del diritto pubblico, quale regola generale non solo di interpretazione ma avente anche una concorrente funzione correttiva ed integrativa delle relazioni giuridicamente rilevanti, obbligo che incombe su entrambe le parti e, sull’amministrazione, in ragione del suo ruolo in funzione del soddisfacimento dei bisogni della comunità, in attuazione del principio solidaristico e di quello democratico.

Da tale obbligo e da quello connesso di collaborazione – ora espressamente contemplati dall’art. 1 comma 2 bis della legge n. 241 del 1990 – discende che nei procedimenti d’ufficio, soprattutto per fatti risalenti nel tempo, è configurabile uno specifico onere per il privato di sollecitare l’amministrazione ad esercitare i propri poteri, evidenziando la persistenza dell’interesse ad una conclusione del procedimento mediante provvedimento espresso.

Da quanto precede discende che la seconda parte dell’art. 31, comma 2 c.p.a., laddove si afferma che “E’ fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”, sia applicabile, con i dovuti adattamenti, anche nei procedimenti d’ufficio in cui, a rigore, la legge non contempla oneri di impulso di natura procedimentale in capo al privato.

L’effetto principale della comunicazione di una tale istanza sollecitatoria è quello di rendere palese all’amministrazione inerte la persistenza dell’interesse alla adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, attualizzando al contempo l’interesse a ricorrere con il rimedio di cui all’art. 31 c.p.a. qualora l’inerzia dell’amministrazione perduri.

A tale conclusione deve necessariamente pervenirsi anche alla luce di una interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 31, comma 2, c.p.a. – nella parte in cui non prevede in modo espresso la possibilità di una istanza sollecitatoria nei procedimenti d’ufficio, avente l’effetto di rendere nuovamente ammissibile l’azione avverso il silenzio - rispetto agli artt. 24, 113 e 3 della Costituzione, non essendo ragionevole la previsione di una decadenza permanente del diritto di azione, limitata ai procedimenti d’ufficio, laddove le due tipologie di procedimenti, differenziandosi per la sola fase di impulso, pongono una medesima esigenza di tutela del cittadino di fronte ai pubblici poteri, esigenza che risulta persino rafforzata nei casi di procedimenti officiosi finalizzati a porre rimedio a condotte illecite dell’amministrazione.

Ne discende che pur in presenza di una azione avverso il silenzio allo stato inammissibile, perché proposta oltre il termine annuale di decadenza, resta fermo il potere della parte di presentare una istanza sollecitatoria al Comune appellato che, nel confermare l’interesse all’avvio del procedimento per la verifica delle condizioni di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, avrà altresì l’effetto di consentire all’interessato di agire con il rimedio di cui all’art. 31 c.p.a. qualora permanga l’inerzia oltre il termine di conclusione del procedimento che in tal modo inizia nuovamente a decorrere.

9. Quanto alle eccezioni di difetto di giurisdizione e di prescrizione sollevate dalla difesa comunale in relazione alla richiesta di corresponsione dell’indennizzo formulata con le conclusioni del ricorso, ferma la portata assorbente della preliminare questione di inammissibilità del ricorso per le ragioni esposte, le stesse sono infondate in quanto il presente giudizio non ha ad oggetto la determinazione e corresponsione dell'indennizzo previsto in relazione alla fattispecie di "acquisizione sanante" del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis, secondo quanto prospettato dalla difesa comunale bensì l’accertamento dell’obbligo di provvedere in ordine alla restituzione o, in alternativa, alla acquisizione dell’immobile illecitamente occupato ed irreversibilmente trasformato, cui si correlano obblighi indennitari la cui quantificazione, nei criteri di stima, esula dal presente giudizio: spetterà al Comune determinarsi sul punto, a seconda che opti per la restituzione piuttosto che per l’acquisizione dell’immobile, fermo restando che sul tema ogni contestazione sulle future determinazioni del Comune è devoluta alla cognizione del giudice ordinario.

10. In conclusione l’appello va respinto e la sentenza del T.a.r. dev’essere confermata, sebbene con motivazione in parte corretta.

11. La novità della questione giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

Luigi Furno, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Luca Monteferrante

Vincenzo Lopilato

 

IL SEGRETARIO

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